Digressione

La migliore eredità del Risorgimento la si ritrova nella Resistenza.

Il fango che i cecchini della coscienza civile e morale sono riusciti nel corso pluridecennale della 1° e 2° repubblica a scaricare sui due momenti più alti della nostra storia di liberazione, ha tutta la lordura del peggiore degli oblii.

La celebrazione del 25 aprile non ha il carisma della sacralità se non è anche un affondo nella nostra coscienza democratica che vale per tutti coloro che vivono gli eventi lontano dagli schermi televisivi e dalle grancasse risarcitorie delle false probità

L’eredità si esprime non solo negli eventi  e nelle lotte che costellarono di eroismi il firmamento della resistenza partigiana ma anche e sopratttutto attraverso coloro che mai osarono profanare il suo sacrario in nome di quell’imperativo categorico che ci impone di tenerli al riparo dalle contaminazioni della strumentalizzazione politica e dagli insulti della revisione storica.

Sono costoro quelli che oggi cercano di ” resistere” al degrado della democrazia, della società, dell’uomo in genere. Sono quelli( e sono tanti:gente comune, imprenditori, lavoratori) che superano l’indifferenza e l’individualismo per contribuire alla costruzione del bene comune in una società che sembra avere smarrito del tutto la memoria di quei valori fondativi della nostra Costituzione( una.delle migliori del mondo).

Le testimonianze che mi accingo a trascrivere vogliono essere il mio piccolo tributo personale in questa giornata commemorativa della liberazione dal nazifascismo,alla memoria dei padri con l’auspicio che le loro parole scritte nel sangue possano scolpirsi a carattere di fuoco nelle nostre fragili coscienze in un passaggio epocale che chiama a raccolta tutte le forze migliori di quella parte sana della società contemporanea che vogliano farsi carico di un nuovo risorgimento civile e morale.

Leggetele ai vostri figli, alle vostre mogli e mariti, ai vostri parenti e fratelli, ai vostri amici affinchè si consolidino nella convinzione che la democrazia e la libertà non devono mai essere date per scontate, che la guardia a loro difesa non deve mai essere abbassata.Non siate distratti nel leggerle.

“Migliorare voi stessi ed altrui : è questo il primo intento ed è la suprema speranza d’ogni riforma, d’ogni mutamento sociale.Non si cangiano le sorti dell’uomo, rintonacando, abbellendo la casa dove egli abita: dove non respira un’anima ma un corpo di schiavo,tutte le riforme sono inutili; la casa rabbellita , addobbata con lusso è sepolcro imbiancato e null’altro.Non dite: l’umanità è troppo vasta e noi troppo deboli. Dio non misura le forze ma le intenzioni.”( G. Mazzini dal libro:”I doveri dell’uomo”)

” L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo”( P.Paolo Pasolini- “Vie Nuove” n 36, 6 settembre 1962)

“Nulla mi pare più contrario al mondo moderno di quel Cristo, mite nel cuore ma mai nella ragione; la figura del Cristo dovrebbe avere , alla fine, la stessa violenza di una resistenza, qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando all’uomo moderno: la sua grigia orgia di cinismo, brutalità pratica, compromesso,conformismo, glorificazione della propria identità nei connotati di massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione.( P.Paolo Pasolini in occasione dell’uscita del film: “Il Vangelo secondo Matteo)-1964).

” Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è più una virtù ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene fare scudo nè davanti agli uomini nè davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. A questo punto l’umanità potrà dire di avere avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico.”(Don Lorenzo Milani: “Lettera ai giudici” 1965)

“Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù,farla vivere sentirla come cosa vostra , metterci dentro il senso civico,la coscienza,rendervi conto che ognuno di noi non è solo ; che siamo in più, che siamo parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo.

Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni suo articolo , o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati,torturati,morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia in Africa, per le strade di Milano, di Firenze, che hanno dato la vita perchè la libertà e la giustizia potessero ssere scritte su questa carta.

Quindi questa non è una carta morta, è un testamento, un testamento di centomila morti.

Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani col pensiero perchè lì è nata la nostra Costituzione”.( Discorso di Piero Calamendrei tenuto presso la Società Umanitaria di Milano il 26 gennaio 1955 e  rivolto agli studenti).

” Se il mondo fosse monopolio dei pessimisti sarebbe da tempo sommerso da un nuovo diluvio; e se oggi la tragedia sembra inghiottirci si deve alla malvagità di alcuni ma soprattutto all’ indifferenza della maggioranza). Il “credo” di troppa gente non ebbe, fin qui, che due articoli:”non viè nulla dafere,” tutto ciò che si fa non serve a nulla”. Quel che importa è che ognuno, secondo le proprie possibilità e facoltà,contribuisca di persona alle molte iniziative di bene spirituale, intellettuale e morale. Un mondo nuovo si elabora . Che sia migliore o ancor peggio, dipende da noi.” (Andrea Trebeschi,resistente bresciano morto a Dachau)

” Se ragioniamo, il nostro interesse e quello della cosa pubblica finiscono per coincidere. Appunto per questo dobbiamo curarla personalmente come il nostro lavoro più importante.Perchè da questo dipendono le condizioni di tutti gli altri.Se non ci appassioniamo a questo, se non lo trattiamo a fondo, specialmente oggi, quella ripresa che speriamo, a cui tenacemente ci attacchiamo,sarà impossibile.

“Può anche bastare, sapete,che con calma cominciamo a guardare in noi e ad esprimere desideri.Come vorremmo vivere domani? No, non dite di essere scoraggiati di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perchè non ne avete più voluto sapere!” ( Giacomo Ulivi, 19 anni, fucilato dai nazifascisti il 10 novembre 1944 a Modena)

La migliore eredità del Risorgimento è la Resistenza…

“VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE”: LO SCANDALO DI UN SECOLO

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“VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE”: LO SCANDALO DI UN SECOLO

Ci sono due vie per entrare nella carne viva della vita: da sopra e da sotto.

L’una è quella della mente,dell’anima, dello spirito; è la corsia preferenziale dei poeti, degli intellettuali visionari, dei sognatori,dei dotti supercoscienti, l’altra dallo sfintere: è il condotto forzato degli sfigati,dei reprobi, dove si depositano le deiezioni della società, le ignominie biologiche dell’umanità. Quelli, i figli prediletti che vivono appesi alle immani tette della grande Madre nutrice, questi, ammassati nei luridi ciechi container del suo sfiancato intestino.

Tutto sta a come si nasce , ci vuole fortuna anche a venire al mondo. O sei amato o non lo sei, o sei bello o sei brutto, o sei ricco o sei miserabile , non c’è scampo: il destino che ti tocca in dote lo stabilisce la Madre perfida e amorevole. A seconda che le piaci o la schifi ti ritrovi a succhiare il latte a garganella oppure a grufolare nel pastone coi porci, per sempre, a mangiare gli avanzi dei falsari, ricchi di fuori e  deliranti di dentro.Hai voglia a  cercare di installarti al posto d’onore di una tavola imbandita e lustra, quegli altri seppure non ce l’hanno la dignità te la intingono in salsa rosa mentre il tuo didietro si mostra così com’è, uno sconcio paonazzo didietro.

Per i malnati la vita è questa: un niente. Niente sogni, niente amore, niente buoncuore,niente onore, niente speranza, niente ricchezza per dimenticare o ben apparire, niente bellezza per esorcizzare la morte, nessun dio, nessun totem,niente di niente, solo una scheggia di luce che finisce nella notte .

Lui , l’autore, è L.Fe,rdinand Cèline, il romanzo è “Viaggio al termine della notte”, un orgiastico, sarcarstico inno al nichlismo del ‘900.

Da leggere.

A quando il connubio tra capitalismo e democrazia?

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Luttwak lo ha definito “turbocapitalismo”, quello ribollente nel ventre della globalizzazione.

Nel pensiero dell’economista statunitense, il periodo attuale è caratterizzato da un capitalismo non più limitato nella sua azione dal frapporsi di frontiere, un capitalismo globale insomma susseguente alla sua seconda fase di vita, quella del Welfare State , e contraddistinto dal conflitto geoeconomico.

A partire dalla fine degli anni settanta un capitalismo privo di argini inizia a scatenare la sua controffensiva lanciata a tutto vapore contro lo stato sociale vissuto come il primo responsabile della flessione dei profitti , dell’aumento dell’inflazione nel quadro della sopraggiunte instabilità mondiale.

L’avvio della controffensiva è segnata dalla liberazione dei movimenti di capitale che prendono la via dell’oceano mondo alla stregua di navi corsare.

Il vero fulcro decisionale dell’impresa non è più quello industriale bensì quello finanziario e i capitali vengono spostati da una parte all’altra del globo, si compra e si vende ciò che non si ha con un semplice clic elettronico.

Le ripercussioni sul sociale sono drammatiche : il modello welfare spazzato via dalle cannonate impazzite della speculazione che lasciano sul terreno una società terribilmente diseguale , devastata dalla lotta di classe tra il capitale finanziario contro i lavoratori e il risparmio.

Un crisi apparentemente irreversibile sul piano delle garanzie democratiche sulla quale sembrano infrangersi le aspettative di una palingenesi morale della società e del mondo della politica.

Tant’è che oggi assistiamo ad una rottura della alleanza storica tra capitalismo, stato sociale e democrazia.

Quella che fu la gloriosa stagione storica artefice della trasformazione dei sudditi in cittadini rischia di capitolare sotto gli assalti concentrici dei “ predatori di Wall Street”sovrani assoluti di un impero mercatistico senza regole e senza arbitri.

Si dirà:- Conseguenza della globalizzazione- Eppure il divario crescente tra la casta dei maneger azionisti e la restante massa dei “sudditi”, tra potenza del capitalismo e potere della democrazia trae materia di essere anche dall’irruzione della cultura neoliberista che respinge l’interferenza dello stato nel mercato facendo proprio l’idolo della fede indiscussa nella sua capacità di autoregolazione.

Da Keynes a Friedman insomma, seguendo una parabola che porta dalla denuncia del capitalismo come “non intelligente , non giusto, non virtuoso” a un capitalismo che ravvisa la sua principale virtù nella libera impresa ,quella che pone il metodo più efficace di regolamentazione nella lotta senza quartiere di un imprenditore contro l’altro.

Come dire che il mercato trae vita e salute dalla guerra tra imprenditori moralmente disinibiti.

Risultato: 1)in uno stato spogliato della sua politica economica sono i governi ad essere giudicati dal mercato e “quotati in borsa”2) la politica fiscale dei governi è messa in scacco dal potere di ricatto delle lobbies e trust oligopolistici.

Il fenomeno si estende ben oltre i confini nazionali, è globale.

Sembrerebbe proprio di assistere al ritrarsi della politica innanzi all’invasività di un gioco finanziario autoreferenziale avido e antidemocratico. Persino gli USA prima potenza mondiale è soggetta a spinte che mostra di non saper controllare.

Per farla breve,l’economia globalizzata condurrebbe alla finanziarizzazione delle società democratiche .

E’ questo un dato reso inoppugnabile dalla vorticosa rivoluzione tecnologica e dalla trasformazione del modello lavorativo.

A differenza del passato oggi necessitano capitali assai più versatili, mobili e reattivi supportati da una rete di mercati finanziari.

In sé nulla di diabolico se non fosse per il fatto che allorquando il dictat finanziario, travalicando i margini fisiologici consentiti, sconfina  dall’area economica in quelle non economiche( giustizia, politica, sport, cultura etc) inevitabilmente genera corruzione la quale agisce da solvente della fiducia a sua volta fondamento di ogni operazione di mercato.

Per molti analisti una società capitalistica sciolta da regole morali costituirebbe un rischio mortale.

E’ dunque non priva di senso  la preoccupazione che la società fluttuante nel vortice della globalizzazione , abbia iniziato una corsa a fari spenti vero un non si sa dove?

La convinzione che il turbocapitalismo  autoreferenziale sia “l’unico e il migliore dei mondi possibili”a nostro avviso appartiene più alla vulgata ideologica degli interessi costituiti che ad una analisi complessa dei fatti .

Tuttavia il deficit di politica che vede  i membri dell’Eurogruppo inabili a governare le dinamiche economiche in atto, non va spinta oltre i confini della transitorietà congiunturale .

Se è vero che esiste oggi una responsabilità collettiva dell’Unione Europea per la situazione in cui siamo precipitati  è anche vero che esistono le misure per configurare una visione politica di lunga prospettiva in grado di superare il breve periodo.

Tra queste il rilancio della categoria della sovranità sopranazionale è la conditio sine qua non per arrestare una deriva che è suggestivo rappresentare, in chiave futuribile, in forma  di regresso della specie umana a colonia biologica  governata da automatismi o, all’opposto, una società implodente nella regressione barbarica.

Se il cuore del problema sta nel  cattivo funzionamento della libera economia, a chi tocca tracciare l’alfa e l’omega di una democrazia  nuova segnata da una fitta trama di interdipendenze?

A chi se non alla Politica compete  l’esclusiva di orientare il potere decisionale dei governi verso un comune progetto di civiltà nel quadro di un nuovo ordine multipolare?A chi spetta celebrare lo sposalizio tra modello capitalistico e democrazia complessa? A chi effettuare una più stretta regolazione del sistema finanziario?

A quando un disegno unitario europeo?

 

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GIOVANI D’OGGI SENZA UTOPIA

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GIOVANI D’OGGI SENZA  UTOPIA.

Mi ero soffermata  ad osservare un insetto che faticosamente tentava di risalire la china levigata e scivolosa di un vetro rigato dalla pioggia .Malgrado rinculasse ripetutamente all’indietro non demordeva, con tenacia indefessa riprendeva ad arrancare dalla posizione perduta.

Una tale pervicacia non poteva che muovere a commozione, suscitare stupore e meraviglia, non tanto per la caparbietà   quanto per la insensatezza di quella immane, grottesca fatica di Sisifo.

Semmai  muovesse al riso sarebbe un riso amaro.

Come dire: in ogni uomo c’è un insetto calamitato dall’istinto di sopravvivenza verso un non meno  indefinito non luogo . Cambia il nome ma non la sostanza.L’etimologia stessa  di UTOPIA  suggerisce l’assenza di luogo ,  e  per  estensione del significato, rinvia ad un luogo virtuale , immaginario , senza locazione nel mondo reale

Va da sé che , a dispetto della sua inconsistenza, l’Utopia è parte integrante dello spirito umano, e in particolare dei giovani nei quali svetta come l’ago magnetico che orienta anime, intenti e azioni verso uno scopo a prescindere dalla sua realizzabilità.

Questa forza, a dispetto di suoi detrattori,è essenziale per dar senso alla vita, irrinuncialbile quanto la speranza , chè anzi ne costituisce il propellente.

In quanto tale andrebbe difesa, educata, alimentata  gelosamente come il fuoco sacro di Vesta custode del diritto alla vita.

Che si chiami fede, ideale, credenza è ininfluente nella sostanza.

Privare i giovani dell’utopia suona come un delitto, un crimine contro l’umanità  foriero di incalcolabili ripercussioni sulla tenuta stessa del  tessuto sociale.

Lo spettacolo di una messe di talenti, falciata dall’incuria dei tempi e della politica ,è devastante per chi, genitore o no, ne osserva inerme la deriva.

La nostra coscienza spettatrice non può che mettersi in ascolto di un cuore esacerbato, gonfio di pena, traboccante di rabbia per la bancarotta morale e civile di una politica sciagurata dimentica dei suoi figli migliori.

Figli pieni di talento, di fantasia , di colori, indomiti come la coccinella del vetro.

Come potremmo sentirci noi genitori,impotenti spettatori di una generazione lanciata alla scalata di uno

specchio rigato di pioggia, se non come stive deserte di una nave in disarmo?.

Che farne del loro entusiasmo, dei loro slanci,dell’ipertrofia dell’immaginazione, della sensibilità, del fervore delle idee tese a conquistare una dimensione quanto meno futura?

L’indifferenza piove uguale sulla confisca dei talenti, o anche solo dei migliori, incatenati alla ruota del criceto, oppure risospinti all’indietro quando erano prossimi alla meta.

 Sa di atto contro natura e in quanto tale suona blasfemo.                                                            

Eppure per i più, la vita non passa mai attraverso il rifiuto.

Leggo sulla rubrica “la posta di Michele Serra” di Repubblica .- Caro Serra , ho vent’anni e quando mi sento sfiduciata nei confronti della vita , faccio ripasso di tutti i sorrisi ricevuti accumulatisi in venti anni di respiri, e penso che dopo tutto, per continuare a lottare, basta l’aria-

Quello che questi” figli dei  figli dei fiori” sono costretti a subire è di una violenza inaudita, alla quale noi borghesi “ figli dei fiori” dovremmo  avere la decenza di inchinarci.

Noi , almeno, avevamo il diritto di abilitare i nostri sogni.

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HABEMUS PAPAM, HABEMUS ECCLESIAM

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HABEMUS PAPAM , HABEMUS ECCLESIAM

L’incipit del film è memorabile, secondo repertorio.

In piazza S Pietro si celebra la cerimonia funebre di papa Giovanni Paolo II. Una folla planetaria è adunata intorno alle spoglie di Wojtyla , raccolta in preghiera nell’alvo rassicurante del colonnato berniniano.

Scena epica grandiosa , ma , a ben guardare, il primo movimento è propedeutico al capovolgimento di scena finale.

Il film si apre a tutto campo sulla scenografia di una chiesa trionfante che attraverso le sontuose esequie di un grande della fede, celebra l’apoteosi della propria millenaria , risorta grandezza.

Si chiude con l’obiettivo della macchina da presa stretto sul mezzo busto del papa neo-eletto in atto di annunciare allo sgomento popolo di fedeli in spasmodica attesa  la propria abdicazione.

Lo stereotipo ufficiale che vuole il successore di Pietro saldamente installato sul soglio granitico della fede, il papa investito direttamente da Dio di verità e di certezza,immune da dubbi , tetragono ad ogni smarrimento, qui frana rovinosamente sotto il peso delle proprie contraddizioni.

“Una commedia su una tragedia personale”. L’autogiudizio è pronunciato dallo stesso regista,  ma non ritengo ci si possa contentare di una lettura letterale ; né soddisfa la nota della Commissione Valutazione della Cei che definisce il film “ Un’opera complessa e segnata da superficialità”. Chiarissimo,ma….

Sarà una banale coincidenza ma la compresenza nelle due frasi di termini antitetici cioè di significato contrastante( commedia e tragedia,complesso e superficiale) mi suggerisce, sotto traccia, la chiave di lettura dell’intero film. Tragedia nega commedia e complesso nega superficiale,così come umano si scontra con divino , terreno con soprannaturale,incertezza e debolezza con intangibilità del dogma della fede,senso umano di inadeguatezza  con il principio di infallibilità del divino magistero.

I letterati sanno che il contrasto dei termini è il meccanismo generatore dell’ironia , quando l’ironia si tinge di grottesco vira in surreale , quando il surreale è calato nel reale allora siamo al paradosso.

Di situazioni ironiche e grottesche il film pullula e tutte insieme portano alla macina del paradosso. Lo psicanalista ateo ( interpretato dallo stesso Moretti) chiamato dai cardinali in soccorso del papa ma impossibilitato ad operare a causa del protocollo, la fuga del pontefice, l’uscita di senno del prim’attore alienatosi nel ruolo, la costernazione dei cardinali all’annuncio del “ gran rifiuto”per “ l’offesa al decoro del papa “ e così via.

Il fatto è che qui il discorso si fa allusione ad una condizione metastorica. Il paradosso non chiama in causa questa o quella circostanza od evento, il paradosso attiene alla chiesa in sé, al suo stesso esserci.

La stridente antinomia tra sacro e profano trova oggettivazione nella necessità di comporre in unità categorie iconciliabili che stanno alle cose reali come Pilato entra nel  Credo.

Come si sposano l’urgenza del rinnovamento dottrinario della chiesa incalzata dalle vorticose trasformazioni innescate dalla globalizzazione, nonché pressata dalla crisi economico- finanziaria ( “ Ci sono tanti problemi da risolvere , tanti cambiamenti da fare”, dice il papa nel suo discorso finale schiacciato dalla consapevolezza ) con la necessità di relativizzare l’assoluto?

Come conciliare la pressante richiesa da parte de giovani cattolici di risposte concrete alla contraccezione, come giustificare la verità di fatto della sofferenza con la cinica, impietosa intransigenza in materia di “finis vitae”?Come azzardarsi a ricordare, magari sommessamente, che i papi incluso il neo-beato Wojtyla, si sono opposti fino all’ultimo a qualsiasi spiraglio nella coltre di omertà steso sul pullulare della pedofilià metastasi del dogma del celibato? E ancora. Il pontefice favorì l’accertamento della verità sul caso IOR?.

Il sordo contraccolpo della congiuntura e le sue “ verità di fatto” sull’autoritarismo ossificato della tradizione ecclesiatica non fa che consolidare l’integrazione del papato carismatico nel sistema del pontificato teocratico di sempre.

Il problema del papa in pectore sembra essere la fede , eppure Melville( questo il nome) si dichiara convinto di essere un unto del  Signore, uno di fede adamantina; eppur  in lui il meccanismo perfetto si inceppa rivelando  impietosamente il volto che langue dietro la maschera, il dubbio dietro le apoditticità della fede.

Il problema sembra essere la debolezza della carne schiacciata dal carico di responsabilità,il senso di inadeguatezza, ma forse l’inghippo sta da un’altra parte.

Perché non capovolgere il punto di vista? Perché non azzardare che quella figura fragile e spaventata , mentre offre al mondo lo strazio della bancarotta personale , quell’uomo sobrio, umile, tutto dedito alla fede, inabile al compromesso non stia proclamando la fine della lettura trionfalistica di quel regno aduso alla grammatica del silenzio e alle astuzie della politica ammantate di panegirico dissimulatorio?

Ordunque se ammettessimo , seppure per burla, che la vera cifra di lettura del film è la denuncia della crisi istituzionale della chiesa,quale nuova risonanza assumerebbero la pletora di beatificazioni fatte da papa Wojtyla e la sua medesima, se non quella rispondente all’intenzione di camuffare con l’ivolucro plateale e rassicurante delle adunate di massa l’empasse che inchioda la Curia all’insostenibilità del cambiamento?H

IL SULTANO NON CADRA’

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Detrattori di Berlusconi non fatevi illusioni. Fossero pure miliardi le firme raccolte dal PD, fossero mille i referendum viola, nulla varrà a spodestarlo !

Il  premier gioca ad acchiapparella con le minorenni nei palazzi del potere trasformati in bivacchi di manipoli ? Festeggia la tenuta dei conti pubblici spassandosela con le portatrici sane di lato A e B ?

In questo paese la donna ( pardon la femmina) deve pur  contare qualcosa,  basta saperla” posizionare”.

Il muso del paese morde il fango? Si è esaurita la riserva di indignazione? Le procure complottano con la Chiesa, lo sdegno popolare minaccia di dare  l’assalto al palazzo d’inverno? I ventilatori di “casa reale” pescano nella cacca? Niente paura, i mossieri di corte contrattaccano la bancarotta morale a colpi di mitra mediatici caricati a turpiloquio.

Tutto ciò fintanto che il processo di ibridazione che rende difficile distinguere  la politica dallo spettacolo non avrà coronato il  piano di assuefazione delle coscienze.

Qualcuno ha detto del sultano:” la sua eccellenza politica consiste in questo,  che ha fatto degli italiani i suoi complici, che riconoscono nei suoi difetti i loro difetti, la loro furbizia, il loro gallismo, i loro piaceri plebei, la loro voglia di harem, il loro squadrismo”.

Tuttavia sarà ben altro che la politica –pop a tenere in sella Berlusconi.

Si dà il fatto che in lui si ritrovino molte parti del sistema Italia.

Roccaforti corporative trasversali al parlamento,

sinistra che silura i propri candidati ancor prima della loro candidatura alle primarie,

rendite in nero che prosperano all’ombra dell’omertà istituzionale,

appalti truccati, manomissione delle procedure, coorti di lestofanti laureati a Baghdad  con corsi di perfezionamento in maghegment.

L’Italia di sempre insomma, quella che si appresta a celebrare i suoi 150 anni da Italietta .

Un’Italia da sempre disunita, un paese diviso, attraversato da una quantità innumerevole di conflitti, impastoiata in un ginepraio di interessi particolari contrastanti e divergenti, concimati dalla corruzione dilagante.

.Ricomporre in unità tutto questo, iniettare mastice sociale in un tessuto così frammentato e degenerato continuamente esposto al timore di nuove lacerazioni ( giovi ricordare che Cavour, pur propendendo per il federalismo, colse a malincuore  la necessità di una soluzione unitaria per salvaguardare il neo-stato dalle forti spinte centrifughe)

è compito dei grandi leader di riconosciuto spessore morale che sappiano orientare la rotta politica verso l’approdo di un nuovo patto sociale che , nel segno della coesione politica nazionale, volga unitariamente lo sguardo alla soluzione delle grandi emergenze del paese.

Questo sarebbe il modo migliore di celebrare i 150 anni dell’unità: un patto di responsabilità tra le rappresentanze politiche di tutte le componenti, sociali, economiche e territoriali.

Ma il vento sembra soffiare in direzione opposta, che è poi la direzione di sempre, data dal vizio storico- culturale di questo paese: il conflitto permanente che sfocia nella litigiosità scolpita nel dna culturale di un popolo cui non sono bastati 150 anni per consolidare il  corpo della nazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“BRUTTE NOTIZIE”, il dietro le quinte dell’informazione

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Maria Luisa Busi , ve la ricordate? Sì proprio lei la conduttrice del TG1 scomparsa improvvisamente dal video dopo 16 anni di mezzo busto.

Quella bella bionda dal piglio sicuro, persino un po’ algido che bucava lo schermo con la baldanza del gesto e della voce.

Non proprio simpatica a dire il vero, così apparentemente fredda , laconica, lapidaria, ben salda sull’arcione della notizia come un cavaliere nella lizza .

Il primo impatto poteva richiamare qualcosa di simile ad un reperto ancor guizzante sotto la formalina.

Ebbene quella che più di qualcheduno contemplava come una virtuale icona senz’anima, si rivela in realtà una donna di gran cuore,vibrante di sdegno e di passione, una Clorinda di ferro all’assalto della fortezza del  disinganno.

L’argento vivo della sua autrice si riversa tutto intero nel sua ultima creatura editoriale.“Brutte notizie”è un libro di denuncia ruvida e muscolosa di quello che succede davvero  nel paese reale , stretto nella morsa della crisi economica e sociale.

Non a caso l’incipit del libro apre con la seguente frase di Pericle:”Riteniamo che il segreto della felicità sia la libertà, e il segreto della libertà il coraggio”.

E il coraggio certo non le manca.

Nel maggio 2010 ha rassegnato le dimissioni dal TG1 perché in disaccordo  con la linea editoriale della nuova direzione. Gesto di grande eco, balzato alla ribalta della cronaca per avere dato visibilità ad un disagio diffuso nel mondo giornalistico insofferente di essere relegato al ruolo di replicante terminale di linee editoriali appecorate al dictat governativo.

Maria Luisa getta il cuore e la mente del giornalismo  oltre il nero di seppia di una stampa oscurantista e mistificatrice dei fatti, ribadendo la doppia sostanza del giornalismo: dare voce a chi non ce l’ha ,a chi non ha visibilità mediatica e  rendere servizio pieno alla verità del fatto.

“Il giornalismo- secondo una dichiarazione dell’Usigrai, – è il cane da guardia della democrazia e non del potere.”

Fa eco Michele Serra:”Per un giornalista manomettere la verità è un crimine, tale e quale per un fornaio sputare nel pane che vende. Qui non si tratta di opinioni, di interpretazioni,di passione politica , è proprio una frode , una lurida frode”.

Una vera e propria crociata  del vero è quella che percorre da cima a fondo l’inchiesta della Busi quasi a voler ribadire che lo strumento chiave della stampa è quello delle inchieste che devono tornare ad avere spazio all’interno delle edizioni principali dei telegiornali senza tabù e senza timore di entrare in rotta di collisione con interessi e convenienze politiche.

E’ da qui che l’autrice fa partire la sua campagna di denudamento dell’infotainment ( l’informazione retrocessa a intrattenimento, a copertina patinata)

Dallo scenariodel terremoto aquilano, al popolo degli invisibili, ai casi di scuola,al sogno spezzato del nord-est, al dramma dell’immigrazione, alla condizione femminile, per chiudere con il TG1 me(i)nzo(li)niero: queste le stazioni della sua incursione sull’Italia vilipesa, stagliate sullo sfondo dell’assoggettamento dell’informazione alla politica.

“Il salto di qualità”richiesto dal “Grande Gioco”, che ha nel TG1 una delle sue pedine principali, è il passaggio dal controllo dell’informazione alla sua trasformazione in propaganda”.Così la Busi nel capitolo in cui smonta pezzo a pezzo il baldacchino mediatico costruito intorno al “miracolo”della assegnazione edilizia ai terremotati dell’Aquila .

Subito inciampiamo nella prima grande bufala:

la realizzazione delle cosiddette case di Berlusconi a L’Aquila.

I terremotati in totale sono stati 70mila più 28mila studenti.Le persone in qualche modo assistite in Abruzzo ammontano a 56.298. Di queste solo 14.349 hanno avuto una “casa di Berlusconi”, poco più di un quarto del totale degli assistiti, un quinto dei terremotati.

E i rimanenti 40mila del miracolo aquilano? Stanno ancora aspettando, taluni ospitati da parenti, talaltri  in sistemazioni provvisorie,  moltissimi spiaggiati in alberghi della costa.

Morale sonante della favola: bruciate risorse per 1miliardo e 200 milioni di euro.( di cui 65 milioni a fondo perduto per gli albergati solo nel primo anno)

Conosco l’obiezione. Spese necessarie. Passabile,se non fosse per il costo esorbitante di 2428 euro al metro quadro per ciascuna casetta in muratura e 1000 per quelladi legno, l’equivalente quest’ultima  del costo di costruzione di un normale appartamento.

Con i soldi spesi per il piano C.A.S.E  pervicacemente voluto da Berlusconi, si potevano costruire almeno 10 mila abitazioni invece di 4449, risanare gli edifici ancora agibili, iniziare la ricostruzione delle aree danneggiate.

E l’informazione che dovrebbe riferire sui dati post terremoto?  Perché  non si fa alcun  cenno al fatto  che a tuttoggi non c’è nessuno strumento operativo che interviene a favore delle attività produttive preesistenti al 6 aprile 2009?

Il sindaco Cialente aveva invitato i giornalisti a visitare con lui il centro storico per riportare all’attenzione dell’opinione pubblica le verità su L’Aquila.

Molti sono andati e alcuni ne hanno scritto.

I soli a … non partecipare sono stati quelli delle più importanti testate televisive , i TG di Mediaste e il TG1.

Voltiamo pagina. Seguono quadri di macelleria sociale, quelli che L’Italia, dipinta a tinte pastello da certa stampa, oscura; quelli che vedono protagonisti i disoccupati, i cassaintegrati, gli immigrati in attesa di permesso di soggiorno, giovani senza futuro, la vita che attende gli operai di Mirafiori alla catena di montaggio toyotizzata .Il lavoro è dignità, è impegno civile ma alcuni dell’Alitalia con figli handicappati sono stati messi in cassa integrazione.

A proposito, quella del salvataggio dell’Alitalia è stata davvero un’operazione così riuscita se  lo Stato( cioè noi contribuenti) ci ha rimesso 2 miliardi? I pronostici per il futuro di CAI( la nuova Alitalia)dicono che  andrà avanti ancora per qualche anno, poi verrà assorbita da Air France( azionista per il 25%), gli italiani si troveranno con un bel debito da pagare , mentre la cordata Cai rivenderà, farà un sacco di soldi e uscirà di scena. E dei dipendenti che ne sarà di loro? Intanto la scure dei licenziamenti del personale di  terra continua a funzionare. Non era meglio bypassare vendendo subito ad Air France? Il logo Alitalia avrebbe continuato a campeggiare sui nostri vettori.

Intanto le anomalie  non si contano: atterraggi di emergenza per insufficienza di carburante, turni di lavoro dei piloti del tipo:45 ore di volo in una settimana sulle tratte intercontinentali, a spregiodei recuperi fisilogici, quando il limite ministeriale massimo eccezionale  è di 100 in 28 giorni. In 30ore si può passare dal fuso di New York a quello di Tokyo. Poco si parla di avarie ricorrenti che hanno costretto Alitalia a ritirare due A330 dalle rotte transoceaniche. Su questo e altro è caduta una coltre di silenzio. Ma, evviva,è stata salvata la compagnia di bandiera in nome dell’italianità.

Efficienza del governo! Ma dov’era il governo nella vertenza Marchionne- Mirafiori?.

Altra pagina , altra valanga di “brutte notizie”.

Lo sapevate che il 15% delle scuole italiane sono chiuse e più di 12mila sono da ristrutturare?

Che le famiglie versano una quota volontaria per mandare avanti la scuola dei loro figli? Che si tagliano gli inseganti di sostegno( checché ne dica la Gelmini sono ben al disotto della richiesta) che un professore delle superiori in Italia guadagna in un anno la metà del suo collega tedesco?  Dulcis in fundo il ministro Brunetta si è lasciato andare alla seguente soave  dichiarazione :“  La qualità del capitale umano ( nemmeno professionale!) dei nostri insegnanti non è all’altezza delle sfide della società contemporanea”

Forse il ministro non sa che una delle più alte concentrazioni di esuberi orari non retribuiti è proprio nella scuola. Che malgrado si lavori con classi di più di 30 alunni, spesso tutti maschi arrapati ,perlopiù  svezzati negli stadi, si deve riuscire a fargli entrare in testa che Beatrice è la metafora della teologia!?

Per non parlare della storica tragedia del precariato.

Ci consola la Busi lanciando il cuore dentro la notizia.”Gli insegnanti : piccoli eroi ed eroine dei nostri giorni. Loro fanno un lavoro enorme . Loro fanno la differenza : peccato che nel racconto televisivo dell’Italia quella differenza diventi in-differenza.”

E avanti così, le brutte notizie si sommano quando si parla di donne uccise , stuprate, mercanteggiate, ridotte a replicanti di genere, donne che guadagnano 21% in meno dei loro colleghi maschi, donne che poster pubblicitari di case produttici di  pannelli fotovoltaici  invitano a “ montare a costo zero”.

Quisquilie a confronto del dato che parla di una donna su tre uccisa dal proprio uomo ogni tre giorni. Il dato è impressionante. Ogni anno in Italia oltre cento donne vengono uccise per mano di un uomo,  la percentuale di donne vittime di violenza fisica o sessuale sfiora il 40%.La colonna di orrore è tale che ha raggiunto i piani alti del ministero delle Pari Opportunità.

Sembra che nascerà un osservatorio sul trattamento delle donne nella televisione pubblica per volontà della ministra Carfagna. Sarà vero?O resterà uno dei tanti proclami ? Frattanto l’Italia si posiziona al settantaduesimo posto, a un incollatura dalla Tanzania, in materia di lotta alla discriminazione di genere.

Per il momento la donna vera con i suoi problemi , quella che si impegna nel doppio lavoro, nel volontariato, che fa impresa, che spacca la lira in dieci, quella irrimediabilmente esclusa dal  mercato del lavoro( Il 49%!), non ha alcuna rappresentazione nella comunicazione offerta dal servizio pubblico. La rappresentazione dignitosa nonché reale  della figura femminile semplicemente non esiste.

In materia di donne sembra proprio che il potere abbia scambiato il triangolo: persona, diritto, pari opportunità, con un altro triangolo molto più antico della costituzione.

Ce ne fosse una in via dell’Olgettina , brutta, chiatta e sopra i 20!!

Se il nostro premier, dominus della pubblicità attraverso Publitalia ,anziché fare le telefonate in procura, le facesse ai direttori di rete in questi termini:- Mi consenta gentile direttore , si potrebbero avere meno tette , meno vallette?- L’effetto  bon ton sarebbe assicurato.

Le brutte notizie sono sempre esistite, soprattutto oggi che i poveri cristi sono abbandonati sulla riva dalla fiumana della crisi, della globalizzazione e del malgoverno.

Ma non è questo il punto,il punto è che certo etere le distorce, le stravolge, quando non ritiene più politico occultarle del tutto.

E’il caso di quanto sta accadendo nel florido nord-est.

Nord-est, il sogno spezzato. Questo il titolo del terzultimo capitolo del libro.

Secondo i dati della Cisl tra il 2008  e il 2010, sono 42mila gli imprenditori, artigiani e lavoratori autonomi che hanno chiuso i battenti in Lombardia, Veneto, Friuli. Erano parte di quell’esercito di piccole imprese che costituiscono la spina dorsale dell’industria italiana.

Nel 2009 il quotidiano francese “ le Monde” irradia un reportage sulla crisi delle piccole imprese italiane.E’ un bollettino di guerra: tra febbraio e marzo 18 suicidi quasi tutti nel nord-est. Nel marzo 2010 il ministro Zaia lancia l’allarme: bisogna assolutamente aiutare i piccoli imprenditori.

Quel giorno i titoli del TG1 sono: l’inverno ostinato, l’uomo che parla alle tigri,e i telefonini indistruttibili.  Nell’agosto 2010 nessun titolo di testa del TG delle 20 sulle 80mila persone che hanno perso il lavoro nel mese di luglio mentre TG1 e TG5 aprono con  “l’industria che vola, la produzione industriale tornata al top del 2000”. Peccato che fonti certe testimonino che la produzione industriale è del 21% al di sotto dei livelli del secondo trimestre 2008, prima dell’inizio della crisi e  che il reddito medio degli italiani è meno 7%.

E intanto il bollettino continua a snocciolare i suoi macabri annunci.

4 giugno 2009 : si uccide un imprenditore di Prato, 3 agosto un altro sempre a Prato. Taranto, ottobre: un imprenditore si cosparge di benzina. Dicembre, in provincia di Treviso, suicida un imprenditore di 61 anni. A febbraio il lutto colpisce Noventa Vicentina. A marzo è la volta di  un artigiano edile a Padova ( è il quarto dall’inizio dell’anno).Emanuele , 28 anni si è impiccato in un magazzino. Un operaio trentacinquenne , sposato,si è cosparso di benzina e si è dato fuoco due mesi dopo il fallimento dell’azienda. Andrea, si è lanciato in mare con la sua auto per liberarsi dall’incubo della cassa integrazione e dei turni di lavoro massacranti. Un altro imprenditore di Treviso si è tolto la vita perché non sopportava di dover licenziare i suoi dipendenti

Allarmate, la provincia e la Camera di Commercio istituiscono un numero verde per gli imprenditori in difficoltà.

Il servizio è subito tempestato di telefonate. C’è il caso di un consulente aziendale padovano di trentacinque anni  in odore di suicidio passato da un portafoglio clienti di dieci aziende a zero.

C’è il piccolo imprenditore che per non confessare alla famiglia il tracollo, da sei mesi esce di casa dicendo di andare al lavoro. Le richieste di  aiuto arrivano da uomini

compresi in una fascia di età tra i trentacinque e i quarantacinque . 350 in quattro mesi! Un’imprenditrice di abbigliamento si accampa in una piazza di Firenze. Le banche le hanno negato un credito e non ce la fa a sopravvivere.

Credito e amministrazione pubblica non aiutano le imprese soprattutto le piccole. I grandi non pagano e sopravvivono, i piccoli affondano.

Sul fronte dell’impresa giovanile ai giovani che si inventano nuove attività va meno di un euro su sessanta.

Un mare di persone lasciate sole  ad affrontare l’emergenza.

Sbotta Elena, una di loro:“Con quale stato d’animo pensate che abbiamo reagito alla dichiarazione pubblica di Berlusconi  secondo cui “le notizie sulla crisi non dovrebbero essere rese note perché creano pessimismo ;il sistema bancario è solido e il sistema delle imprese non dovrebbe soffrire di carenze di liquidità”?.

Ebbene come pensate che abbiano raccontato la crisi i telegiornali?

E via con la semplificazione! E via con i dirottamenti della notizia! E via con la fabbrica della paura!

“Rispetto al resto d’Europa-sostiene Ilvo Diamanti- la tv italiana è più funzionale alle esigenze della politica nel comunicare l’agenda delle paure”. Risultato: un’informazione superficiale quando non manipolatoria  quando non orrorofila.

La cronaca insiste sulle paure e sulle emergenze per creare allarmismi in realtà privi di fondamento come quello che dà la quota di stranieri presenti in Italia ad un quinto della popolazione mentre ammonta al 7%. In egual modo tra gli italiani è diffusa la convinzione che nel nostro paese ci siano più immigrati che regolari mentre è vero il contrario, che la stragrande maggioranza dei reati sia compiuta da extracomunitari quando donne, uomini e  bambini che non hanno commesso alcun reato talvolta trascorrono più tempo in detenzione che i criminali colpevoli.

Secondo un comunicato ufficiale dell’ONU “da un esame di 5684 servizi televisivi solo 26 non legavano l’immigrazione ad uno specifico evento criminale o a questioni di sicurezza”.

Quanti italiani sono stai messi a conoscenza dai tg circa l’odissea che deve affrontare  lo straniero che vuole entrare regolarmente nel nostro paese? Quanti hanno appreso da quei canali che un minore , figlio di extra comunitari irregolari può andare a scuola fino a diciotto anni, e poi, anche se a ridosso del diploma , deve lasciare la scuola perché con la maggiore età entra nella schiera dei clandestini?

Insomma, quella della contraffazione – oscuramento della notizia è una

tecnica  sottile, elaborata per montare ad arte stati emotivi facile strumento della  manipolazione a fini politici come quella che inneggia all’efficienza governativa nella  risoluzione delle questioni  vissute come minacciose per il quieto vivere degli italiani.( un esempio per tutti: lo smaltimento dei rifiuti a Napoli). La regola dell’informazione è dunque riassunta nel motto: allarmare per tranquillizzare.

Nell’ultimo capitolo intitolato”C’era una volta un Tg”, la Busi affronta la disanima delle  cause profonde e gli aspetti della degenerazione in cui versano le testate televisive trasformate dai direttori dei centro destra in veline governative.

Siamo al TG1. Già nel 2000 sono in molti i giornalisti che contestano la linea editoraiale di Rossella. Lo scontro si fa più aspro nel 2008, direttore Mimun nominato da una maggioranza di centro-destra.  Si affacciano le prime dimissioni e rimozioni. Dal vicedirettore Daniela Tagliafico ai conduttori Tiziana Ferrario, Paolo Di Giannantonio, Piero Da Mosso e infine le dimissioni della Busi.

Nel 2010 sotto l’egida di Minzolini si  completa  il “ cambio di sangue” nelle redazioni allorquando giornalisti di grande esperienza e autorevolezza vengono sacrificati al progetto di sostituzione della vecchia guardia considerata troppo problematica con il “ nuovo” visto come più duttile, più plasmabile, di fatto per togliere sempre più spazio al giornalismo indipendente

Osserva la Busi: “ il punto non è che la linea del giornale sia stata filogovernativa perché il TG1 in certa misura lo è sempre stato. La svolta è stata la trasformazione del TG1 in strumento di battaglia politica”.

E’in questo quadro di integrazione sempre più stretta tra politica mediatizzata e informazione che si va attuando la transizione dal “governare è comunicare al comunicare è governare”mediante la quale l’espugnazione della coscienza degli italiani è avvenuta a spese dell’autonomia  di pensiero dei giornalisti e dei liberi pensatori.

Tutto questo nell’era del digitale che cambia radicalmente la tipologia del giornalismo televisivo. L’enorme flusso di informazioni che preme a valanga sulle edizioni dei tg impone ritmi di selezione e presentazione assai rapidi che esigono un lavoro di selezione e confezionamento molto veloce e ritmato; ciò si riflette sull’accentramento delle decisioni e lo stravolgimento delle regole  e dei ruoli tradizionali  che garantivano alla notizia il marchio di genuinità.

Viene così meno la condizione costitutiva del giornalismo ; le notizie “cucinate e confezionate”, tagliate, cucite e manomesse con tecniche e strumenti sottili in modo da ottenere l’effetto voluto, decretano la condanna a morte del giornalismo autentico, quello libero si intende, quello senza casacca , allineato sì ad una linea di governo, ma non prono agli ordini del partito.

Osserva Ennio Remondino:

“Con l’avanzare del nuovo ciò che conta non è più la verità o la coscienza personale del professionista bensì il gradimento da parte di chi comanda. Anche la gerarchia rovescia la logica della sua autorità : non vale più la logica del sapere ma la forza del possedere. Possedere grado,danaro e benefits, possedere visibilità e ribalta. Anche nel mondo del giornalismo vige la logica del: “io possiedo, io sono”che si apre la via nel solco del degrado progressivo del servizio pubblico.

Non c’è più spazio per il giornalismo critico e  indipendente, per il pensiero pluralistico, per la deontologia professionale che ha fin qui informato la tradizione giornalistica occidentale.

“Siamo chiamati ad essere la voce dei cittadini e non del governo. C’è nella costituzione stessa del giornalismo un dover essere d’opposizione, come condizione costitutiva di una professione che deve informare e formare opinione pubblica e coscienza critica: questa è la grande tradizione del giornalismo in occidente” Così di contro la Busi. Le fa eco la Tagliafico:”Dare voce a chi non ce l’ha. Trovare spazio anche per quei soggetti- e sono numerosi- che non hanno visibilità mediatica perché schiacciati dai protagonisti istituzionali: dal volontariato all’associazionismo,dai fermenti della cultura e per quel mondo, fuori dai confini nazionali, che ha paura del terrorismo e della fame”.

Impossibile non condividere. Per chi non vuole sottostare al gioco è una questione di dignità e la risposta alta e vibrata è NO!

Così Maria Luisa se n’è andata dalla ribalta chiudendo definitivamente la porta dietro di sé.

Ma non ha deposto le armi. Ora parla alle platee dai pulpiti delle piazze ;con il solito piglio battagliero mostra a tutti il vero volto delle “ brutte notizie” quelle che non fanno glamour e si chiudono negli armadi, quelle che si nascondono sotto il tappeto. Portarle alla luce è il suo modo di onorare il vero giornalismo e rendere servizio alla battaglia per l’edificazione della coscienza collettiva.

Grazie Maria Luisa.